LA LUCE DI UN ATTIMO - Castel del Monte/1990
Acquerelli di Sandro Conti dedicati a Castel del Monte
Mario Basile Sindaco di Castel del Monte
Chi è Sandro Conti: è soprattutto un amico, un amico di Castel del Monte. II nostro rapporto, nato da esigenze professionali dettate dalla necessità di dare un'immagine al nostro paese, si è man mano approfondito, è uscito dai confini del lavoro per entrare in quello del rapporto umano. Abbiamo avuto modo di seguire il suo impegno per dare un'immagine a Castel del Monte e abbiamo constatato come il suo rapporto sia gradualmente uscito dal "professionale" per diventare amore verso il paese; un amore in grado di fargli vivere, sentire intimamente il paese, la sua vita, la sua gente.
Questo suo modo di interpretare, di vivere la professione, questa pittura cosi "popolare", come lui stesso la definisce, porta noi stessi ad essere in qualche modo protagonisti. Attraverso i suoi acquerelli, i suoi colori cosi veri, Sandro Conti ci porta alla riscoperta del nostro paese, un paese che credevamo di conoscere. Ci porta a riscoprire sotto una luce diversa, per certi versi nuova, Castel del Monte, i suoi aspetti reali e tutto ciò avviene sotto la spinta di impulsi che sono di affetto, di emozione, di sensazioni profonde.
Sandro Conti rende possibile questo nesso, questo legame cosi intimo, attraverso una pittura che parla alla gente e che nasce dalla intima conoscenza della nostra terra. Per questi motivi riteniamo, perciò, che questa sua mostra si debba considerare un omaggio di un amico ad un paese amico.
Autopresentazione di Sandro Conti
«...il realismo è nell'opera
quanto l'idealismo è nell'anima;
e soltanto a forza di idealità
si riprende contatto con la realtà. »
Lorenzo Giusso
Dopo aver finito di dipingere l'ultimo acquerello di questa Mostra dedicata a Castel del Monte, ho tirato fuori tutti gli altri dalla cassettiera e, in ordine sparso, sono rimasto a guardarmeli.
Mi sono domandato se, come spesso succede in queste occasioni, avessero bisogno di una presentazione, di un «lasciapassare» critico nei confronti del pubblico cui sono destinati.
L'ultimo dipinto era il ritratto del pastore-poeta Francesco Giuliani: sono tornato a scrutarlo più da vicino, a fissarlo negli occhi.
Adesso che c'eravamo conosciuti a fondo, anche se in una differente fase dello spazio-tempo, ora che c'eravamo scambiati i nostri pensieri e le nostre emozioni, sapevo che avrei potuto chiedergli un consiglio e che mi avrebbe dato una mano.
Certo, se una presentazione doveva essere scritta, nessuno più di Francesco Giuliani avrebbe potuto farmi felice nello scriverla.
Lui, che conosceva così visceralmente la Terra e la Gente di questo paese; lui, che aveva assorbito e filtrato come una spugna gli umori, le gioie e le amarezze, i riti ed i miti di un universo popolare dalle radici tanto remote, ma ancora oggi così vive e presenti.
Ma cosa avrebbe scritto? Avrebbe riconosciuto nei miei lavori almeno una parte di quell'umanità o di quelle atmosfere universali che avevano segnato la sua vita terrena, impregnandone l'animo?
E poi, come avrebbe scritto? Non credo in modo «colto» e accattivante: non avrebbe concesso nulla al linguaggio stereotipato degli «addetti ai lavori». Ritengo che si sarebbe espresso con parole schiette e popolari, sapendo di dover parlare, semplicemente, agli «uomini».
O forse non avrebbe scritto un bel niente; forse, si sarebbe messo ad ascoltare i colori.
Ecco, il Poeta mi aveva già dato l'aiuto e la risposta che cercavo: in fondo un quadro non ha bisogno di essere presentato.
Il quadro è lì, di fronte al tuo sguardo e vuole già dirti qualcosa, stabilire un contatto.
Penso, onestamente, che i miei dipinti rifuggano da schemi (o mode) estetizzanti o intellettualistiche dove prevale la «cifra» del razionale sulla spontaneità del sentimento.
Ecco, vorrei tanto che la mia pittura fosse considerata, con una parola, «popolare».
Perché è innata nella gente tutta la capacità di trasfigurare le cose, di perpetuare l'attimo poetico oltre la soglia del reale: più che saperlo, basta volerlo fare.
Certo, ognuno di noi ha poi il suo modo di esprimersi e si indirizza seguendo al meglio le proprie vocazioni.
Forse la mia pittura può avere uno sbocco nell'area del sociale. Faccio un esempio: quando dipingo una casa, essa non è mai protagonista, ma cerco di far capire chi vi abita dentro.
Il quadro, così, si deve scoprire a poco a poco; deve rivelare aspetti reconditi, deve diventare medium evocativo per l'osservatore.
Si è portati a pensare che normalmente si dipinga avendo di fronte l'oggetto da ritrarre: io so che non è vero, perché in realtà si dipinge con la «memoria» del vissuto e forse del sognato.
So che è inutile, quindi, parlare più dettagliatamente dei singoli soggetti dedicati a Castel del Monte.
Spero che chi li vedrà possa ritrovare, nel colore dei silenzi, nelle certezze nascoste del quotidiano, un momento intimo, già vissuto.
Credo che Francesco Giuliani mi abbia scortato nel cammino della conoscenza di questo suo Paese.
Egli aveva certamente, e in ciò mi sento a lui «fratello», passione per il dettaglio e amore del cosmo.
Forse, guidato dalla sua poesia, è stato meno arduo per me cogliere di questa Terra, le stagioni, le ore, la luce di un attimo.
Sandro Conti